Sergio e Annalisa che lottano per l’Homeschooling in Italia: «Per i nostri figli abbiamo scelto la libertà»
«Quando qualcuno riuscirà a spiegarmi come possa essere educativo costringere un bambino a stare seduto a un banco ore e ore al giorno ed essere bombardato con una serie di materie che si susseguono una dietro l’altra, allora ripenserò al valore della scuola». Sono le parole che mi rimangono più impresse della mia chiacchierata con Sergio Leali, presidente di Laif L’associazione istruzione in famiglia, che segue e supporta le 10-15mila famiglie che in Italia hanno deciso di non mandare i propri figli sui banchi di scuola, ma di tenerli a casa per apprendere in famiglia. Si dice così infatti, si preferisce usare la parola «apprendere», piuttosto che «istruire», perché nell’homeschooling la prima cosa che non c’è, è quella che tutti ci portiamo dietro dal nostro passato di scolari: noi inchiodati alla scrivania con un libro aperto davanti e qualcuno che ti dice cosa devi fare. Ecco, questa scena, da ora qui in poi, ce la dimentichiamo.
Per la stessa ragione, la foto che vedete in questo articolo, che mostra Annalisa Vincenzi, consigliere dell’associazione Laif insieme ai suoi figli che hanno fatto homeschooling, è l’unica che ha trovato quando le ho chiesto un’immagine per illustrare l’articolo: «Non è quello che succede normalmente», mi spiega, «L’istruzione parentale va di pari passo con una spontaneità nell’apprendimento che nasce dagli interessi dei ragazzi e si muove per dare soddisfazione a quell’interesse scegliendo il mezzo migliore, a seconda dei temi, quindi sia leggendo un libro, ma anche cercando su internet, sperimentando in modo empirico, a contatto con la natura, o chiedendo spiegazione di un adulto di riferimento su quel tema».
È un po’ quello che mi avevano raccontato Catherine e Nathan, la mamma e il papà dei «bambini del bosco», ovvero la famiglia che vive in Abruzzo la cui storia ha fatto sì che si tornasse a parlare di «homeschooling», e in particolare della modalità «unschooling», un approccio di apprendimento spontaneo che nel loro caso è molto legato all’attività in natura, e che in realtà, con gradienti differenti, è parte fondante dell’istruzione parentale.
Per fare chiarezza: l’Istruzione Parentale (come la chiama la legge italiana, che la prevede con gli articoli 30 e 33 della Costituzione e con un corredo di altre norme), l’Homeschooling e l’Unschooling, sono la stessa cosa. Non vanno a scuola, seguono un progetto didattico-educativo che nasce sulla base dei loro interessi, e che è pensato dai genitori per abbracciare gli 8 obiettivi di apprendimento stabiliti dalla Comunità Europea. E il loro apprendimento viene sottoposto a verifica nelle scuole.
Insomma tutti studiano «a norma di legge», ma l’approccio homeschooling è molto diverso da quello di chi arriva in classe, e, come se fosse una lavagna bianca viene istruito con una serie di nozioni uguali per tutti. Si fonda, invece, sull’individuo e sulle sue predisposizioni, nel rispetto dei suoi tempi, anche di quello del riposo e quello della sedimentazione di ciò che si è appreso. Libertà quindi, e personalizzazione. E così durante la nostra chiacchierata anche nella mia testa il concetto dell’apprendimento diventa man mano meno rigido e più malleabile, tanto che mi chiedo: quanti concetti abbiamo introiettato come fossero fissi e invece si possono cambiare? E poi: se tornassi indietro vorrei che i miei genitori non mi mandassero a scuola?
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