Natasha Pirard – Fernande, Cecile: Risorgere dal proprio album di famiglia :: Le Recensioni di OndaRock
L’insostenibilità di una tristezza sommersa che annienta mentre la natura suggerisce tutt’intorno vita, rifiorimento, essenza: nel microcosmo di Natasha Pirard filtra l’immagine di una giostra familiare interrotta, un “rottame” da esorcizzare comunque vada a finire.
“Fernande, Cecile” è un’opera autobiografica, nei rimandi e nella percezione del suono come scappatoia da una scomparsa che è cifra di una disillusione recondita eppure maledettamente viva. Otto movimenti dedicati alla madre e alla nonna delineano i contorni di un album fotografico, che collega immagini e registrazioni sul campo, sintetizzatori e violini.
Formatasi all’Università di Ghent, la Pirard vanta un repertorio classico che ha sviluppato evolvendosi via via tra la teoria musicale storica e la sperimentazione contemporanea, traendo in particolare ispirazione dal phase shifting di Steve Reich e dall’approccio di Mica Levi.
La musicista belga ha perso la nonna, Fernande, a sette anni, ma i suoi abbracci e la sua energia in qualche modo fanno ancora parte di lei. Mentre sua madre, Cecile, è l’ancora che tutto regge negli istanti in cui la marea si ingrossa, presentando un conto perlopiù amaro.
Il terribile declino psicologico e affettivo a cui riduce l’Alzheimer, di cui soffriva la nonna, è lo spettro che si aggira tra le pieghe di un disco che fonde elettroacustica e minimalismo. “Se, a un certo punto, dovessi avere anche io questa malattia, non dimenticare che sono ancora qui (dentro)”, le dice infatti sua madre. E’ una confessione che diventa anche il pretesto per animare partiture celestiali e allo stesso tempo bucoliche, nelle quali la maternità più autentica, che non tutti hanno la fortuna di provare, è mero carburante.
La linea di partenza fortemente riservata da cui la Pirard decide di inaugurare il proprio cammino potrebbe certamente essere sulla carta un boomerang, come ad esempio accade nella quasi totalità dei romanzi a trazione parentale che infestano ormai da tempo immemore le librerie. Ma è un rischio calcolato e per fortuna schivato con leggerezza, senza mai ammorbare la scena con inserti poco aderenti al suono o trovate da diario segreto.
Il giardino della nonna in piena fioritura così come i frutti distesi al sole tornano a galla tra i pensieri della Pirard e mutano in musica, mediante fraseggi delicatissimi in loop e ritmi impercettibili che scuotono i contorni. E’ in questa decostruzione della propria emotività che si alternano cocci di luci e ombre, a metaforizzare presenza e assenza del proprio vissuto. Field recordings domestici, come il cinguettio dell’uccellino preferito della nonna che vola nell’aria o il battito accelerato del cuore, introducono spesse volte il canto in lontananza, da sirena ferita quasi a morte, della Pirard (“La tristesse insoutenable”).
Prodotto e missato da David e Stephen Dewaele (Soulwax/2manydjs), l’album è diviso in due parti, rispettivamente dedicate a Fernande e Cecile, e mostra di conseguenza altrettante percezioni diverse della compositrice, perennemente in bilico tra bramosia e riconoscenza, stupore e scetticismo. Non c’è, del resto, parola che possa esprimere i sentimenti di un’anima fragile che ha deciso di cominciare là dove tutto segnalava soltanto fine.
Affidarsi alla musica è stata l’unica scelta possibile per Natasha Pirard, che dopo le prove generali di “Dream Cycles”, di fatto debutta nello sterminato mondo dell’ambient, in apparenza più metafisica, con una cifra personalissima e al contempo coraggiosa. Volendo fare un parallelo, si potrebbero anche scomodare qui e là i ricordi altrettanto privati di Alessandro Cortini in quella meraviglia che è “Avanti”, per certi versi l’opera emotivamente più vicina a “Fernande, Cecile”.
Resta però l’assoluta singolarità della Pirard nel ricamare fluttuazioni proprie che confortano e altrove abbattono, in uno dei dischi ambient più intimamente compatti degli ultimi anni.
03/12/2025




