Il governo patrocina la serie Rai ma vuole chiudere l’Ispettorato
La prima puntata de L’altro ispettore, nuova fiction di Rai 1 tratta dai romanzi di Pasquale Sgrò e liberamente ispirata a fatti di cronaca, è andata in onda il 2 dicembre mentre in tutta Italia si teneva la mobilitazione nazionale del personale dell’Ispettorato nazionale del lavoro (INL). Una coincidenza fin troppo eloquente per una categoria che è “in mobilitazione da anni”, reduce da tre scioperi e da una lunga serie di comunicati unitari, come ricordano i tre sindacalisti Ilaria Casali (Uilpa), Matteo Ariano (Fp Cgil) e Giorgio Dell’Erba (Usb) che proprio ieri hanno firmato l’ultimo, appena prima di sintonizzarsi su Rai 1 per il debutto del loro “collega”, l’ispettore del lavoro Domenico Dodaro, interpretato dall’attore Alessio Vassallo. Il Fatto ha raccolto i loro commenti a caldo: riflessioni che, tra apprezzamenti e amarezze, mettono a fuoco finzione e realtà, ma soprattutto la distanza tra il mondo del lavoro e le tutele che ancora mancano.
La fiction, dicono, ha il merito di “dare visibilità a un lavoro quasi invisibile”, quello di chi ogni giorno entra nelle aziende per tutelare diritti e sicurezza, quasi mai nel piccolo schermo. Ma la voglia di riconoscersi non manca, anche nella bicicletta del protagonista: “Due o quattro ruote, sempre di mezzi personali si tratta se qualcuno ci spacca un vetro o peggio, tocca pagare di tasca propria”. Strappa un sorriso anche l’ufficio di Lucca, dove è ambientata la serie, con tre sole persone. “Scene che ricordano i nostri uffici, dove il sotto-organico è ormai strutturale”, ricorda Casali, tra personale amministrativo ridotto all’osso, concorsi che non coprono nemmeno i posti a bando e personale in fuga verso opportunità più remunerative. Anche nella sede di Lucca, quella vera, l’attività ispettiva è ridotta perché una parte degli ispettori è impegnata in attività amministrative per supplire alla carenza di funzionari amministrativi, riferisce la Cgil.
Perché di cose da dire ne hanno parecchie. A partire dal patrocinio di Palazzo Chigi del ministero del Lavoro alla serie. Proprio quel ministero che, denunciano, ha appena ammesso l’intenzione di superare l’autonomia dell’Ispettorato nazionale e riportarlo sotto la diretta gestione del dicastero di Marina Calderone. Lo definiscono un paradosso: “Si illustrano al grande pubblico gli ‘eroi di tutti i giorni’, mentre il governo si prepara a comunicare l’intenzione di chiudere l’INL”, hanno scritto nel comunicato del 2 dicembre, dopo il flash-mob sotto la sede Rai di via Teulada a Roma e l’assemblea nazionale partecipata da oltre seicento colleghi, a conferma di una tensione che monta da tempo tra gli ispettori, ancora senza risposte su assunzioni, strumenti, welfare e valorizzazione del personale.
Ma i problemi degli ispettori INL sono anche quelli del Paese, quelli che emergono dai risultati del loro lavoro. “Nel campo della sicurezza, le ispezioni che riscontrano irregolarità superano l’80%”, spiegano. “In Italia i tre morti al giorno sul lavoro sono frutto di un sistema che pretende di utilizzare catene di subappalti che leggi e governi agevolano”, attacca Ariano. “In questo sistema gli organi di controllo, non solo gli ispettori, ma anche la Corte dei Conti, la magistratura tutta, devono stare al loro posto, fedeli alle parole della presidente del Consiglio: “Noi non disturberemo mai chi produce ricchezza”. Anche quando produrre ricchezza determina sfruttamento e morte”. La prima puntata della fiction è ispirata alla morte sul lavoro di Luana d’Orazio, operaia ventiduenne, madre di un bambino di 5 anni, uccisa il 3 maggio 2021 a Prato perché il macchinario tessile sul quale lavorava aveva i dispositivi di sicurezza disattivati.
“La fiction racconta il macchinario manomesso per aumentarne la produttività”, riconoscono. Ma c’è anche l’amarezza per un processo chiuso con patteggiamento e pene sospese per i titolari e il recente proscioglimento del tecnico manutentore, assolto per non aver commesso il fatto. “Il caso di Luana D’Orazio è emblematico: la manomissione delle sicurezze non è neppure penalmente inquadrabile, o lo è con una debolezza straordinaria”, se la prende Dell’Erba, che dedicherebbe la seconda serie al processo. “Le normative sono adeguate? I controlli sufficienti? La patente a punti è stata efficace? A noi sembra di no”. Servono investimenti, organici, strumenti, terzietà e autonomia e una giustizia che non lasci scorrere gli anni fino alla prescrizione, come pure accade anche per le morti sul lavoro. Ma soprattutto, concordano, serve una normativa più solida che renda il lavoro più dignitoso, perché tutele e salari adeguati rendono il lavoratore meno ricattabile e meno disponibile ai compromessi, anche quelli sulla sicurezza.
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