Cultura

Westerman – A Jackal’s Wedding

Il terzo album dell’artista britannico appartiene ad una pregevole categoria non poi così vasta ma comunque indefinita di songwriting d’autore moderno, dove l’ispirazione white soul si intarsia con sapiente dosaggio di minimalismo elettronico, trovando larga e fluida luce ispiratrice, liberando l’autore da freni inibitori, lasciandolo più agile nella sua consueta elegante ricerca degli esili sentimenti.

Credit: Eric Scaggiante

Prodotto da Marta Salogni, già esperta di queste sonorità avvolgenti con Sampha, Bjork ed altri nomi autorevoli, “A Jackal’s Wedding” contiene tutti quegli elementi, come la profondità, l’intensità delle interpretazioni, un distacco evidente dal semplice formato canzone, che rendono la sua penetrazione sotterranea ma di sicuro effetto, in un mood omogeneo dalla prima all’ultima nota; passando da vibrazioni folk come “Nevermind” o la tenera ballad “Mosquito”, alla nervosa “About Leaving” di sapore Bon Iver in falsetto al jingle jangle electro di “Adriatic”, alla evocativa “Agnus Dei”, abbondonandosi a situazioni intime da brivido nella dolce “Spring”, piano e voce, Westerman rifugge lo stereotipo della canzone canonica, inseguendo un’idea musicale semplice ma destrutturata, affidandosi più alle sensazioni di un pattern digitale piuttosto che di un pugno di accordi di chitarra, diluendo attorno la sfera strumentale, dando vita a piccole graziose forme musicali.

Registrato in poche settimane ad Atene, Westerman concentra la sua vena creativa in un album di getto, riuscendo comunque a definire la sua espressione musicale compiutamente, rifuggendo l’idea di sovrastrutture e ripensamenti del/sul processo creativo, allietato forse dall’atmosfera greca così apparentemente lontana dalle frenesie occidentali, capace di permettergli di dare più sintonia forse alla sua voce e alle sue riflessioni in canzoni che, pur non avendo picchi da hit, scorrono piacevoli come note di una narrazione in musica di un momento di serenità autoriale.


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