Cultura

Cose in cui non ci sei più: Brianza velenosa e dintorni :: Le Recensioni di OndaRock

I Limonov non arrivano direttamente da Monza, epicentro negli ultimi 30 anni di una scena musicale che ha rappresentato tantissimo nella musica alternativa dello Stivale, ma punti di contatto risultano evidenti non appena sul piatto girano le prime note di “Cose in cui non ci sei più”, prima pubblicazione sulla lunga distanza edita per Gelo Dischi, dopo un paio di Ep preparatori.

Ci arrivano subito echi di sonorità techno rock inserite in una estetica dark, con testi sincopati, frasi secche a volte nosense e con una giusta dose di ironia. Verrebbe quasi da inquadrare questi otto episodi che compongono l’opera in una sorta di “Urbanesimo praticante”, e guarda caso leggendo i credit ci troviamo proprio il buon Luca Urbani, metà Soerba prima, prezioso collaboratore di Garbo e solista poi. Supportati dalla produzione di Urbani, nati e cresciuti tra l’hinterland milanese e la provincia di Como, dal 2019 i Limonov oscillano con il giusto equilibrio tra sperimentazione elettronica e immaginario derivante dal mondo post-punk.

Il raggio d’azione del trio però non si limita alla musica tout court, ma abbraccia anche produzioni audiovisive, essendo i componenti registi e autori di cortometraggi. Si fa un largo uso di sperimentazione visiva nella poetica della band, che si spinge nell’uso disinvolto dell’intelligenza artificiale. Con risultati eccellenti, per esempio, nel videoclip del singolo “The Eternal” del 2020, dove veniva creato un deepfake di Ian Curtis utilizzandolo come alter ego impossibile del cantante. Con pochi dati facciali del leader dei Joy Division, l’IA riusciva a mappare il suo volto, modellandolo su quello del frontman durante l’esecuzione della cover. Nel videoclip, Curtis sembrava provenire da un altro mondo, un paradiso digitale in cui era cristallizzato nella sua stessa caricatura.
Nati da un approccio elettronico alternativo e decorati con suggestioni noise e industrial, i brani dell’album ricostruiscono contorni frastagliati e decadenti di vita vissuta, non sempre ideale. Dai ricordi d’infanzia (“Il primo cane”, uno degli episodi più convincenti) ai rapporti umani (“Cose in cui non ci sei più”), tutto diventa incubo (“Il giorno e l’ora”), lasciando l’impressione di un mondo che si sgretola, una spiacevole sensazione di cortocircuito che avanza fino ad ammantare il tutto con una negatività non più sanabile.

Tra tutti, scegliamo “Camere a gas”, una ballad dai toni alienanti, dove a una musica di chiara matrice dark si sovrappone il racconto opprimente di un qualcosa che si perde inesorabile: frammenti di vita, ricordi e immagini si susseguono con le chitarre a supportare l’elettronica minimale. Tappeti sonori oscuri a sostegno di melodie sempre efficaci, un’emotività strisciante, quasi intangibile, che si insinua nell’ascolto portando la musica in una dimensiore ultrasonora.




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