Vaccini Covid, perché considero convincente la tesi degli errori statistici sulla mortalità
E’ stato di recente pubblicato, a firma di ricercatori italiani indipendenti di varie professionalità, un interessante studio intitolato Classification bias and impact of COVID-19 vaccination on all-cause mortality: the case of the Italian Region Emilia-Romagna in cui sono stati presi in esame i dati ufficiali della Regione Emilia Romagna, ottenuti tramite accesso agli atti da uno studio legale e relativi alla mortalità generale e allo stato vaccinale nel periodo dicembre 2020-dicembre 2021.
Ritengo quanto emerso di grande interesse in quanto per la prima volta – in un lavoro sottoposto a revisione paritaria – si trova un riscontro nel nostro paese di quanto ipotizzato già nel 2021 dai due matematici inglesi Norman Fenton e Martin Neil in un lavoro rimasto preprint (non pubblicato). Si tratterebbe di un grossolano errore di classificazione dei soggetti vaccinati noto come “distorsione della finestra di conteggio dei casi”, che classifica le persone come “non vaccinate” per 14 giorni dopo l’inoculo se si tratta della prima dose, come vaccinati con una dose se si tratta della seconda dose etc.
Se questo può aver senso per quanto riguarda la protezione immunitaria che necessita di un certo periodo prima di svilupparsi, non ha viceversa alcun senso per quanto riguarda gli eventi avversi, compresa la mortalità, che si potrebbero verificare dopo la somministrazione del vaccino.
Incrociando quindi i dati della mortalità generale con quelli della somministrazione dei vaccini anti Covid è emerso che quando c’è stato il picco di somministrazione delle prime dosi si sarebbe verificato, nei 14 giorni successivi, un picco di mortalità per tutte le cause fra i “non vaccinati”, con una correlazione statisticamente significativa tra il numero delle prime dosi somministrate e l’incidenza dei decessi tra i non vaccinati. Ciò proverebbe che i dati forniti dalla Regione (utilizzati anche per le statistiche ufficiali) erano distorti dal bias suddetto.
E’ ovvio che questo comporterebbe una enorme distorsione della valutazione di efficacia e sicurezza perché “scarica” gli eventi avversi – compresa la morte – non sul gruppo dove si è effettivamente verificato l’evento, ma su altra popolazione. Purtroppo questa errata classificazione non sarebbe stata adottata solo in Italia, ma anche a livello internazionale: in Inghilterra addirittura le persone vengono considerate come non vaccinate nei primi 14-21 giorni dopo la vaccinazione.
Questo errore, che dunque sarebbe presente nei tanti studi che hanno vantato la “sicurezza ed efficacia” dei preparati mRna anti Covid, non sarebbe purtroppo l’unico a inficiare la credibilità di quanto di norma pubblicato sulle riviste scientifiche. Sempre gli stessi ricercatori italiani, rianalizzando i dati della mortalità generale in provincia di Pescara in funzione dello stato vaccinale e presentati in un articolo in cui si vantava una riduzione della mortalità generale con la terza dose, avevano infatti evidenziato l’esistenza di un altro errore sistematico, detto Immortal Time Bias.
Questo errore consiste nel non tener conto del tempo trascorso da un soggetto prima di iniziare un trattamento (vaccinazione, nel caso specifico) e considerare “non trattati” solo i soggetti che restano tali fino alla fine del periodo di osservazione. In altre parole i soggetti non trattati/non vaccinati non sono solo quelli che non hanno mai subito il trattamento, ma anche i soggetti trattati, per tutto il tempo precedente il trattamento.
Per non incorrere in tale errore, le popolazioni a confronto devono essere sostituite dai tempi-persona, ossia i tempi cumulativamente trascorsi nello stato considerato (non vaccinato/non trattato in confronto con vaccinato/trattato), calcolati per tutti i soggetti a partire dall’inizio dello studio (quando tutti erano non vaccinati/non trattati). Analizzando i casi da questo punto di vista, gli autori hanno concluso che non solo non vi sarebbe alcun vantaggio sulla mortalità generale per i vaccinati con tre o più dosi rispetto ai non vaccinati, ma anzi si evidenzierebbe una piccola ma significativa riduzione della speranza di vita per i vaccinati sia con due che con tre o più dosi.
In un periodo in cui la ricerca scientifica – in particolare medica – appare monopolizzata da grandi gruppi finanziari e farmaceutici, credo sia motivo di soddisfazione e incoraggiamento constatare che anche in Italia, come nel resto del mondo, esistono ricercatori indipendenti e senza conflitti di interesse che dedicano il loro tempo e le loro energie nella ricerca della verità scientifica, a tutela della salute pubblica e riuscendo, sicuramente con fatica, a pubblicare i loro studi.
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