Monte Rovella, un’escursione “sostenibile” – #piemonteparchi
Metto subito in chiaro una cosa: il monte Rovella (890 metri di altezza) non è nella top five delle montagne più belle e imponenti del nostro Piemonte e, mi sa, neanche nella top ten. Si tratta di un rilievo boscoso più o meno al centro della provincia di Biella, con 213 metri di prominenza, tutt’altro che disprezzabili.
Dalla cima la vista dovrebbe essere grandiosa, ma verso nord e verso est gli alberi bloccano lo sguardo. Verso sud-ovest invece c’è un bello scorcio su Pettinengo (per gli amici il “Balcone del Biellese”), sulla pianura e sulla zona occidentale delle Alpi Biellesi. Sempre sulla cima si trovano le rovine di una costruzione circolare
, oggi semisepolte dai rovi. Ricerche di archivio e scavi degli anni Novanta hanno chiarito che si tratta di quanto rimane del “Cappellone della Rovella“, un edificio di culto che avrebbe dovuto coronare un “Sacro Monte” collegato al sottostante santuario rinascimentale di Banchette. Il complesso di cappelle non venne però mai completato e il progetto stesso fu presto dimenticato. Oltre ai ruderi della cappella nel corso degli scavi sono state rinvenute prove di frequentazione della montagna all’inizio del Trecento, legata probabilmente alle operazioni delle truppe dell’arcivescovo di Vercelli contro Fra Dolcino e i suoi seguaci, accampati nella vicina Valsessera. Alla Rovella è anche legata la credenza che vi si riunissero le “masche”, le streghe del posto, per i loro misteriosi riti notturni.
La mia salita
Io, che il Biellese centrale lo frequento fin da quando avevo poche settimane di vita, alla Rovella ci sono stato parecchie volte. Ci si può salire per sentiero da varie frazioni di Bioglio, Pettinengo e Valdilana. La mia ultima salita risale al 12 agosto 2025, una giornata davvero molto calda. Il mattino presto sono partito in bici dal paesino dove quasi tutti gli anni passo parte dell’estate e, per strade secondarie e non troppo ripide, sono arrivato a Bioglio alla base del crinale sud-est della Rovella. Dopo aver spinto un po’ la bici su una sterrata l’ho legata nel bosco e, a piedi, sono salito fino in [Foto: In cima alla Rovella.jpg cima] per un sentiero che segue lo spartiacque tra le vallate dello Strona di Mosso e della Quargnasca. Sono poi tornato a recuperare la bici e, sempre spingendo (ho una bicicletta da strada, non una MTB), ho proseguito a mezzacosta su uno sterrato fino al santuario di Banchette. Lì sono risalito in sella e sono poi tornato a casa per asfalto passando da Pettinengo (foto: la Parrocchiale
). In tutto circa 22 km, dei quali 2 a piedi e 20 in bici.
Collezionismo di cime e sostenibilità
Avvertenza: le considerazioni che seguono potrebbero urtare la sensibilità dei lettori negazionisti del cambiamento climatico e/o della sua origine antropica, lettori che prego quindi di astenersi dalla lettura del resto dell’articolo. Di per sé salire a piedi su una montagna è un’attività a bassissimo impatto ambientale. Quando camminiamo in salita il nostro metabolismo aumenta un po’ rispetto a quando dormicchiamo in poltrona, e produciamo quindi più CO2. Anche il più assatanato ambientalista concorderà però che si tratta di un’inezia. Poi c’è l’attrezzatura ma neanche qui, se la salita non è troppo difficile, si tratta di chissà che: un paio di pedule, che quando sono vecchie posso riutilizzare per vangare nell’orto, e magari i bastoncini, lo zaino e una borraccia.
Ma quando guardiamo i trasporti purtroppo casca l’asino. Se abito a Torino e voglio conquistare la vetta del Monviso in qualche modo al Pian del Re dovrò arrivarci. No problem se ci arrivo a piedi, in bici o in calesse, come ai tempi di Quintino Sella, ma se ad esempio ci vado in auto il mio impatto climatico diventa significativo. La cosa migliore sarebbe limitare la nostra attività escursionistica alle montagne e alle colline a due passi da casa, e trasformarsi così da “peakbagger” a “polybagger” (vedi “Il Casto, un monte per tutte le stagioni”). Personalmente però, più che a ripetere sempre le stesse salite, sono interessato a farne di nuove. E quindi, dato che il collezionismo di cime è un’attività che mi piace e che non vorrei abbandonare, mi chiedo se c’è modo di renderla più sostenibile.
Gli impatti del trasporto
Partiamo quindi dal mezzo di trasporto: un viaggio in macchina con cinque persone, pro-capite, produce circa un quinto dei gas serra che produrrebbe lo stesso viaggio con una sola persona. Dico quasi, perché al chilometro l’auto piena consuma un po’ di più che quella con il solo guidatore. Se possibile sarebbe quindi buona cosa fare le nostre escursioni in compagnia, condividendo l’auto. O, meglio ancora, utilizzare i mezzi pubblici: arrivare in treno o in bus all’attacco di una gita è di sicuro una pratica molto più virtuosa che andarci in auto da soli. In campo automobilistico anche le dimensioni naturalmente contano: a parità di km fatti un pandino ha molto meno impatto dei SUV che, tra l’altro, hanno spesso una stazza incompatibile con le strette stradine della borgate di montagna. Certo sulle sterrate i fuoristrada vanno meglio, ma le sterrate sarebbe consigliabile farle a piedi o in mountain bike. Un’altra fonte di riduzione o di aumento dell’impatto climatico del collezionismo di cime è l’accorpamento o il frazionamento della salita a cime vicine. Ad esempio un collezionista con base a Torino che raggiunge le principali vette della Val Pesio (Alpi Liguri) nel corso di parecchie escursioni in giornata produrrà di sicuro molta più CO2 di quello che si prende 3-4 giorni di ferie e fa le stesse cime con partenza dal rifugio del Pian delle Gorre. Un’ultima considerazione riguarda le nostre wishlist (vedi “Liste listoni e listini….“). L’elenco delle montagne che voglio raggiungere lo decido io, non è che me lo scrive qualcun altro. Se il mio obiettivo è quello di collezionare le cime più alte degli stati europei (vedi “Peakbagging vs. highpointing“) sarà di sicuro un bagno di sangue, anzi un bagno di combustibile fossile. Per salire sul Teide (3.715 m, la vetta più alta della Spagna) dovrò raggiungere Tenerife, quasi di sicuro in aereo, e anche arrivare in Svezia o in Bulgaria non è a impatto zero. Se invece mi “accontento” di collezionare le vette della Valsusa, o quelle del Delfinato, naturalmente è tutta un’altra cosa. Termino mettendo le mani avanti. La sostenibilità per molti, e un po’ anche per me, è diventata una specie di religione. E come in tutte le religioni si predica bene, o almeno benino, e si razzola in genere male, se non malissimo. Personalmente non credo di fare eccezione. Di solito in montagna ci vado in auto e da solo, perché fatico a trovare soci che abbiano i miei stessi orari e le mie stesse preferenze escursionistiche. E la salita alla Rovella con avvicinamento in bici confesso che è più un’eccezione che la regola. Però credo che sia sempre meglio essere coscienti dei danni piccoli o grandi che si fanno piuttosto che crogiolarsi in una improbabile presunzione di innocenza.
Per approfondimenti:
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