Lazio

41° suicidio dell’anno nelle carceri italiane. Il sistema penitenziario al collasso

Un’altra vita spezzata dietro le sbarre. Un altro nome che si aggiunge alla lunga, tragica lista dei suicidi nelle carceri italiane. Questa mattina, all’alba, all’interno del reparto G-12 del carcere romano di Rebibbia, un uomo di 54 anni è stato ritrovato impiccato nella sua cella singola.

Era romano, aveva lavorato nella cucina dell’istituto fino a poco tempo fa. Nessun compagno di cella, nessuna possibilità di chiedere aiuto. Solo il silenzio e l’ennesimo epilogo di disperazione.

Secondo i dati diffusi dal sindacato Uilpa Polizia Penitenziaria, si tratta del 41esimo suicidio di un detenuto dall’inizio dell’anno – cui si sommano altri due casi simili, uno in una Rems e uno tra i detenuti ammessi al lavoro esterno – e tre suicidi tra gli stessi operatori penitenziari. Un bilancio drammatico: 44 vite spezzate nel 2024 all’interno di un sistema che avrebbe dovuto custodire, riabilitare, proteggere.

Il carcere italiano infligge una pena di morte di fatto, che colpisce ristretti e operatori”, denuncia amaramente Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa. E lo fa con numeri che raccontano più di mille parole: 1.565 detenuti a fronte di una capienza di 1.068 posti, con un sovraffollamento del 143%, gestiti da 650 agenti contro i 1.137 necessari.

Una situazione esplosiva, che non risparmia nessuno: né i detenuti, che vivono in condizioni al limite della dignità, né gli agenti di polizia penitenziaria, spesso costretti a turni massacranti che arrivano fino a 26 ore consecutive, in quella che De Fazio definisce senza mezzi termini “una forma di caporalato di Stato”.

E mentre le istituzioni parlano di task force e soluzioni di facciata, la rabbia cresce anche tra le forze politiche locali.

Ogni suicidio è una sconfitta dello Stato. Il carcere non può essere una condanna a morte”, ha dichiarato Emanuela Droghei, consigliera regionale del Partito Democratico, chiedendo riforme strutturali e investimenti veri: assistenza psicologica, personale, percorsi di reinserimento, non solo annunci e passerelle.

Oggi, invece, la realtà parla di una cella, una corda, e una vita lasciata sola fino alla fine.

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