Società

40 secondi, il film sull’omicidio di Willy Monteiro: «Non era un eroe, era un ragazzo gentile»

Alla Festa del Cinema di Roma, 40 secondi di Vincenzo Alfieri arriva come un pugno nello stomaco. È un film che non giudica, non ricostruisce processi, ma pone domande. Da dove nasce la violenza? E cosa significa, oggi, avere il coraggio di fermarsi o di intervenire?

Tratto dal libro di Federica Angeli, 40 secondi. Willy Monteiro Duarte, la luce del coraggio e il buio della violenza (Baldini+Castoldi), l’opera prima di Alfieri è ispirata alla storia vera del ventunenne Willy Monteiro Duarte, ucciso nella notte tra il 5 e 6 settembre 2020 davanti a una discoteca di Colleferro, alle porte di Roma. Era intervenuto per difendere un amico in difficoltà. Quattro parole – «È tutto a posto?» – gli sono costate la vita. Quaranta secondi.

«Ci siamo chiesti come mettere in sceneggiatura un episodio che dura solo quaranta secondi», racconta Roberto Proia, produttore del film per Eagle Pictures. «Era una sfida: farne una storia che parlasse ai ragazzi, che avesse un senso per le scuole. Per questo dal 17 novembre partiremo con le proiezioni dedicate agli studenti». Il regista Vincenzo Alfieri, 39 anni, affronta il tema con pudore e intensità: «Mi sono avvicinato a questo film da neo papà. Mi sono chiesto: cosa direi a mio figlio, se si trovasse davanti a una scena simile? Gli direi di restare indifferente o di intervenire? Non c’è una risposta giusta o sbagliata. Il film nasce da questa domanda: essere adolescenti è un po’ come essere genitori, entrambi navigano nel dubbio».

Nel film, Willy è interpretato da Justin De Vivo, scoperto per caso in uno street casting «proprio davanti a una discoteca». «È stato come un segno», racconta il ragazzo, «Era quello che dovevo fare». Alfieri e la sua troupe hanno scelto di avvicinarsi alla famiglia di Willy con rispetto: «Abbiamo scelto di non contattare subito la famiglia, erano persone travolte dal dolore e dall’attenzione mediatica per cinque anni. Poi, un giorno, la sorella di Willy è venuta da me. Le ho fatto vedere il film, ha visto per la prima volta quella notte attraverso delle immagini, lei l’aveva solo sentita raccontare. Mi ha guardato, mi ha detto “Complimenti”, e se n’è andata in silenzio. È stato uno dei momenti per me più intensi».

Colleferro, oggi come allora, è una cittadina sospesa. Le giornate si somigliano tutte, è la provincia come metafora di un’Italia che fatica a immaginarsi un futuro. «Da adolescente ho conosciuto quella stessa sensazione di immobilità», racconta Alfieri. «I sogni sembravano qualcosa che non ti spettasse. A Caserta, dove sono cresciuto, mi è capitato di vivere la violenza, di trovarmi in mezzo a risse, a situazioni pericolose. Ma l’ho sempre ripudiata. Credo che i sogni possano salvare le persone. È quello che voglio dire ai ragazzi con questo film». Un pensiero che condivide Francesco Gheghi, che nel film interpreta uno dei ragazzi di Colleferro. «Anch’io vengo da un contesto di periferia», racconta. «Da ragazzino ho assistito, a volte da vicino, a risse e discussioni. Di fronte alla violenza, le persone reagiscono in due modi: o si avvicinano, affascinate, e tirano fuori il telefono per filmare, oppure scappano impaurite. Io a un certo punto ho deciso di portarmi fuori da tutto questo. Il cinema mi ha salvato: mi ha dato un sogno, e la possibilità di non diventare parte di quella violenza».


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »