1981–2025: MTV è morta, viva MTV

E anche MTV se ne va.
Sommersa dal mare agitato delle piattaforme di streaming, sepolta viva sotto montagne di contenuti algoritmici e clip da quindici secondi. Se i video, un tempo, avevano ucciso le star della radio, ora sono le star dei video a subire la stessa sorte per mano di TikTok e dei suoi fratelli e sorelle digitali.
Sulla Luna, però, è rimasta la bandiera. E dentro alcuni di noi, il ricordo.
Quel ricordo nostalgico dei gloriosi “MTV Unplugged”, quando la musica era carne, sudore e passione. Quello dei Nirvana, in particolare, è entrato nella storia — non solo del rock, ma dell’animo umano. Era il 1993, e mentre “Come As You Are” si spogliava della sua elettricità, il mondo analogico respirava – forse – per l’ultima volta. Poi arrivò l’era digitale, e ogni emozione cominciò a passare per un filtro, un calcolo, un algoritmo.
Allora, c’era ancora spazio per l’improvvisazione, per gli errori, per il fai-da-te. C’erano ideali, ci si sporcava le mani. Oggi resta solo l’apparenza, la patina, il riflesso lucido di ciò che non esiste. Ma, in fondo, MTV era già morta da tempo — sopravviveva come un ricordo degli anni Novanta, legata a quei pomeriggi infiniti in cui eravamo ragazzi, in cui il mondo sembrava tutto da inventare e scoprire. MTV non aveva nulla a che vedere con i millennials, né con le generazioni successive, cresciute nel culto della connessione.
Chissà dove saranno, adesso, Beavis e Butt-Head. Forse in qualche garage a ridere, ascoltando i pezzi dei Pantera, degli Slayer, dei Metallica, degli Anthrax, degli AC-DC. Forse sono cresciuti ed invecchiati anche loro, ma non ci crediamo davvero.
1981–2025. Quarantaquattro anni.
Sembra ieri, e invece è passata una vita. C’era tempo, allora. C’era spazio per parlarsi, anche tra un video e l’altro. Oggi, invece, viviamo immersi in un flusso continuo ed inarrestabile di streaming digitale, un fiume di dati che trascina immagini, ricordi, fantasie, incubi. Il reale si mescola con l’assurdo, il concreto con il virtuale, fino a confondere anche l’orrore e la disumanità con l’intrattenimento. Tutto diventa spettacolo, anche la tragedia. E nessuno sembra più chiedersi cosa succede davvero, là fuori.
A nessuno importa essere — interessa solo apparire. E così innalziamo fantocci, idoli temporanei, mode e tendenze destinate a dissolversi nel giro di un weekend. Gli stessi algoritmi che ci uniscono, ci spengono, lentamente, nella mediocrità condivisa.
Noi italiani avevamo una nostra versione di MTV, un riflesso più piccolo, più domestico, più convenzionale, ma pur sempre luminoso. Un faro diverso dalla TV generalista, lontano dalle liturgie di Rai e Mediaset. Lì sentivamo nominare artisti, band, album, canzoni che, altrimenti, sarebbero rimasti invisibili. Era una piccola finestra sul mondo, e ci dava la sensazione — reale o illusoria — di far parte di qualcosa di più grande. Ci faceva sentire vivi, parte di un movimento, di una comunità. .
Oggi MTV non guarda più alla musica. È diventata un contenitore di show, eventi e spettacoli che non ci riguardano e non ci piacciono. Ma la sua prima incarnazione — quella che faceva compagnia ai nostri pomeriggi, che ci accoglieva nei ritorni da scuola, che univa gruppi di amici intorno a un televisore — quella non c’è più. E ci manca.
Forse, però, non è MTV a mancarci. Forse ci manca quel tempo. Forse ci mancano quei giorni. I giorni dei primi video che avessimo mai visto, di “Smells Like Teen Spirit” sparato a tutto volume, di “Losing My Religion”, “Zombie”, “No Rain”, “Creep” o “Black Hole Sun”. Ci manca la sensazione che la musica potesse cambiare qualcosa. Che anche noi, in qualche modo, potessimo farne parte.
Oggi non resta che la bandiera sulla Luna, e il suono di una generazione che non ha perso, né perderà mai, la voglia di ricordare, di ascoltare, di cercare, di chiedere.
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