14 luglio 2000: la “prima volta” dei Coldplay in Italia

14 luglio 2000, anno scolastico finito da un pezzo.
Tra le mura del castello scaligero di Villafranca, provincia di Verona, il sole picchiava forte-forte, ma non era ancora il caldo opprimente al quale ci saremmo dovuti abituare invecchiando.
Alle cinque del pomeriggio del secondo giorno di festival solo un centinaio di persone sparpagliate sulla terra bruciata del cortile. Chi attendeva Beth Orton, chi le Sleater-Kinney, chi – come me – i Marlene Kuntz.
Ma i Coldplay pareva non li aspettasse proprio nessuno.
Chi sono questi?
Salirono sul palco e suonarono alcune cose, il cantante rispondeva agli sparuti applausi del pubblico tentando di ringraziare in italiano.
Ad un certo punto tirarono fuori una canzone che era ovunque, che la sapevano anche i sordi, allora capimmo – il mappamondo giallo sul pianoforte, fin lì, proprio non l’avevamo notato.
Sono quelli di “Yellow”.
Ah. Carini.
Poi “Trouble”, poi “Shiver”. “Parachutes” era appena arrivato nei negozi. Al ritorno sui banchi una compagna di classe con cui non parlavo mai l’avrebbe tirato fuori dallo zaino – a me piacciono tantissimo, sai? – e le avrei chiesto di prestarmelo.
Loro chiusero, tristissimi, con “Everything’s Not Lost”. Applausi generici.
Però bravi.
Sì.
Sottinteso #1: bravi, ma levatevi dalle palle che la giornata è lunga.
Sottinteso #2: bravi, ma siamo qui per il rock’n’roll, non per questa lagna.
È così che andò il debutto italiano dei Coldplay.
Mentirei se dicessi di essere tornato a casa come quella volta John Landau con Bruce Springsteen – blaterando di aver visto il futuro della pop music e che il futuro della pop music erano i Coldplay.
Piuttosto, ne uscii con degli enormi ematomi sulle gambe perché avevo passato tutto il concerto dei Marlene Kuntz in prima fila, schiacciato alle transenne dalla calca, ipnotizzato e urlante nel tentativo di provare fisicamente quello che avevo provato ascoltando come un ossesso H.U.P. Live In Catharsis. Era ciò che volevo e lo ebbi.
Ero felicissimo così – di quella tre giorni clamorosa non sapevo cosa fosse successo la sera prima, non mi interessai di cosa successe quella dopo.
Giusto cinque anni più tardi venne fuori che (colei che nel frattempo era diventata) la mia ragazza (e che quel pomeriggio di Villafranca ancora non conoscevo) il giorno prima era finita nel backstage dopo il set di Moby.
Quando me lo disse, non ritenni di fare altre domande (semi-cit).
Sulle gradinate dell’Arena (luglio 2005), rimanemmo allora in un silenzio che durò un attimo. Poi l’aria si saturò di blu e il boato di ventimila persone annunciò l’istante esatto in cui i Coldplay misero piede sul palco.
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